Perché investire nei data center è cruciale per far crescere le imprese italiane




Ultim’ora news 4 marzo ore 14


La recente missione del governo italiano negli Emirati Arabi ha permesso ad alcune grandi imprese di siglare accordi per lo sviluppo di tecnologie e per la produzione di energia, anche rinnovabile. È passato un po’ sotto traccia invece l’accordo di Eni per il finanziamento, la costruzione e la gestione di data center, una tipologia di investimento oggi di cruciale importanza.

In un momento di grave ed estesa incertezza economica e politica e nelle more di una disordinata transizione digitale dai confini impalpabili sta emergendo come unica certezza la grande domanda di data storage e di computing delle nostre aziende. È questo solo il riverbero locale di una tendenza globale che non riguarda soltanto l’adozione limitata di strumenti basati sull’intelligenza artificiale per la gestione dei clienti e dei pagamenti. La vera rivoluzione, con importanti implicazioni in termini di incrementi di produttività, riguarda la digitalizzazione dell’approvvigionamento e del processo produttivo, oltre che della distribuzione dei prodotti, almeno nel settore manifatturiero.

La domanda di digitalizzazione espressa dalle imprese, pure stimolata da misure di politica economica passata e recente a livello nazionale come a livello regionale, si manifesta in una necessità di investimento in infrastrutture e in un’altra, non meno importante, inerente la gestione dei dati. Questi due momenti, diversi ma interconnessi, del più complessivo processo di riorganizzazione aziendale presentano criticità e opportunità molto diverse.

Per quanto riguarda l’aspetto infrastrutturale, l’Italia si appresta a investire circa 10 miliardi di euro per portare la capacità dei data center aziendali a 500 Mw It. È un ammontare significativo che deve raccogliere la sfida dell’attrazione dei necessari finanziamenti e investitori, unitamente a quella del contenimento dei costi per l’energia, che rappresentano in media il 30-50% dei costi operativi e che si stima costituiscano già oggi circa il 3% della domanda globale di elettricità. I recenti accordi di Eni negli Emirati Arabi vanno dunque proprio nella direzione di cercare investitori e di alimentare i data center con un sistema energeticamente ed ambientalmente efficiente.

L’altra faccia della medaglia del processo di digitalizzazione, ossia quella relativa alla gestione dei flussi informativi, presenta forti criticità legate alla sicurezza dei dati ma anche alla loro riservatezza. Dopo un lungo sonno della ragione, tre anni fa ci siamo accorti dell’importanza dell’autonomia energetica. Oggi non possiamo non notare con preoccupazione che le nostre imprese dipendono in maniera crescente dall’estero per i servizi di computing e di gestione dei flussi di dati. Le piccole e medie imprese fanno spesso affidamento su servizi informatici di aziende extra-europee, cui spesso è demandata l’intera gestione dei processi industriali coinvolti, regalando, senza volerlo, una mole di dati di inestimabile valore.

Da un punto di vista economico-politico è dunque necessario affrontare la transizione digitale in un’ottica ben più strategica di quanto non si sia sinora fatto. È necessario affiancare agli incentivi per gli investimenti in data center una chiara visione industriale per la crescita di un ecosistema di imprese nazionali o europee che preservino caparbiamente le informazioni. Le turbolenze geopolitiche stanno inducendo una crescita della spesa militare per la difesa. Ma proprio in questo momento storico bisogna impostare una chiara strategia di difesa della conoscenza accumulata dalla nostra industria, tanto più che le sfide dell’economia dei dati le rende particolarmente esposte e vulnerabili. (riproduzione riservata)

*Università Bocconi – Milano



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