Diecimila miliardi di euro fermi nei conti correnti degli europei. Una liquidità gigantesca che non produce valore. Parcheggiata nei depositi dei risparmiatori senza che produca un rendimento per chi la detiene, né un valore aggiunto per chi potrebbe averne bisogno.
E’ lì, silente, eppure, ora che c’è da finanziare il più grande piano di riarmo dalla seconda guerra mondiale, occorrerebbe mobilitarla. Per supportare gli Stati già gravati da un pesante debito pubblico, Italia in testa, ad investire sulla difesa ora che l’ombrello militare della Nato rischia di venir meno.
Le considerazioni sul risparmio stanno animando il dibattito a Bruxelles e dovrebbero portare mercoledì 19 marzo la Commissione Ue a stilare un piano per convogliare questa liquidità sull’industria.
Un piano i cui contorni saranno poi sul tavolo dell’Eurosummit una manciata di ore dopo, nel vertice dei 27.
D’altronde il rapporto sulla competitività elaborato da Mario Draghi aveva evidenziato appena qualche mese fa che le famiglie europee hanno risparmiato 1.390 miliardi di euro soltanto nel 2022, mentre negli Usa questo valore si è fermato a 840 miliardi di dollari.
Maggiori risparmi ma la ricchezza cresce lentamente
Non è l’assenza di risorse che impedisce maggiori investimenti in Europa, dunque, semmai il problema è la difficoltà a convogliare l’ingente risparmio Ue verso l’economia reale.
Di conseguenza le imprese hanno minori margini per innovare. Inoltre, le famiglie hanno minori occasioni per ottenere rendimenti: negli Usa la ricchezza dei risparmiatori è aumentata del 151% dal 2009, mentre in Europa del 55% nonostante il maggiore tasso di risparmio.
Nella bozza che sta circolando in queste ore la Commissione dovrebbe adottare alcune misure entro il terzo trimestre del 2025 per aiutare gli Stati a promuovere l’adozione di conti di risparmio e di investimento basati sulle migliori pratiche esistenti.
Misure accompagnate da una raccomandazione sul trattamento fiscale dei conti di risparmio e investimento.
Lavorare sulla cultura del risparmio dei cittadini europei
La volontà di Bruxelles assume anche connotati pedagogici. Si pensa ad iniziative finalizzate a mutare la cultura del risparmio dei cittadini europei fino ad interventi per la rimozione delle barriere per i movimenti di capitali raggiungendo l’Unione bancaria, un proposito di cui si parla da anni senza aver mai registrato concreti passi in avanti.
A tendere la volontà è quella di costituire i veicoli finanziari più snelli all’interno di un mercato unico dei capitali europei. Invece di avere la Borsa di Milano, Parigi e Berlino bisognerebbe integrare le Borse in un’unica architettura finanziaria.
In cui società quotate come Leonardo o la tedesca Rheinmetall hanno un accesso più agevole sul mercato a risparmiatori che invece ora finanziano in prevalenza le aziende americane. Attualmente i gestori patrimoniali costruiscono un portafoglio in cui per la parte azionaria la parte del leone la fanno i titoli delle big tech americane che danno ottimi rendimenti. In futuro dovrebbe poter essere molto più facile investire su una tech europea.
IIl rapporto Draghi su questo è illuminante e da mesi interroga le cancellerie europee. Esistono diverse cause alla base dei bassi investimenti sull’innovazione e sulla ricerca. Il mercato dei capitali rimane frammentato tra Paesi.
Il rapporto propone di rafforzare i poteri dell’Esma (sul modello della Bce), creando un’unica cassa di compensazione per gli scambi e incoraggiando l’adesione dei risparmiatori ai fondi pensione come è stato fatto in Olanda, Danimarca e Svezia.
Inoltre le imprese si affidano eccessivamente ai finanziamenti bancari, che sono «meno adatti a finanziare progetti innovativi e devono affrontare diversi vincoli».
Le banche hanno meno esperienza nell’innovazione rispetto a venture capital e private equity e hanno una minore redditività rispetto ai gruppi Usa: J.P. Morgan da sola capitalizza più delle dieci maggiori banche europee.
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