Twist d’Aula – Una polizza contro la calamità dell’incertezza normativa


di Massimo Pittarello

ROMA (Public Policy) – Il rinvio è possibile, anzi probabile. Dopo aver fatto sentire la propria voce con Confindustria, Confartigianato, Confesercenti, Confapi e CNA, le imprese si aspettano ora che il Governo posticipi ufficialmente l’entrata in vigore dell’obbligo per le imprese di assicurarsi contro i danni da calamità naturali, al momento fissato al 31 marzo. Ancora troppi infatti i dubbi su costi, su limiti, sulla sfera di applicazione di queste polizze. Le imprese non sono pronte, e le assicurazioni nemmeno, visto che non tutte sono riuscite a lanciare polizze ad hoc per queste nuove fattispecie.

Dalle parti di Palazzo Chigi, dove pure il dialogo con il mondo imprenditoriale procede a strappi, il ragionamento è più o meno questo: se procediamo all’ennesimo rinvio non facciamo una bella figura, ma diamo il tempo ad aziende e compagnie di mettersi in regola e possiamo correggere qualche errore. Se manteniamo la scadenza del 31 marzo – si ragiona – evitiamo l’ennesimo dietrofront, ma introduciamo un nuovo obbligo impossibile da attuare, una di quelle tante prescrizioni all’italiana poche chiare e che valgono a giorni alterni.

Per fare un esempio molto concreto, se in Toscana ed Emilia dovesse tornare a piovere e non dovesse arrivare la proroga, dal primo aprile il 90% delle imprese potrebbe essere esclusa da eventuali indennizzi. Il comma 102 della norma prevede infatti che le aziende sprovviste di copertura siano escluse da agevolazioni fiscali o contributi pubblici. Per cui, mentre le aziende ‘inadempienti’ del resto d’Italia non subirebbero conseguenze, quelle già colpite da alluvione vedrebbero piovere sul bagnato.

Ma non sarebbe l’unico paradosso di questa norma. Anzi. Il nuovo obbligo scatta per le imprese, ma quasi tutte le grandi, come due terzi delle medie, già sono assicurate. Per cui, nei fatti riguarda principalmente le Pmi, che hanno qualche difficoltà in più ad adeguarsi. E anche a trovare la polizza giusta, che varia a seconda se si tratta di un ristorante a Palermo, di un hotel a Milano o di uno studio professionale a Milano. Curioso poi che dall’obbligo siano escluse le imprese più a rischio, quelle agricole.

C’è poi la controparte. L’Ania dice che con la creazione di un pool cat nat, un consorzio agile tra imprese, le compagnie sono pronte e i prezzi saranno accessibili, anche grazie alla garanzia Sace. Tuttavia, la stima di perdite annue per le compagnie si aggira intorno ai 2 miliardi, mentre la raccolta premi arriverebbe solo a 1,5 miliardi (nel 2024 le pmi colpite sono state 278 mila, con danni per 3 miliardi). Per rendere digeribile la polizza al mondo assicurativo sono state escluse alcune fattispecie importanti, a partire dalla grandine, l’evento in assoluto più devastante dal punto di vista economico.

Ora, la spalmatura del rischio su una platea ampia, oltre all’esclusione di alcune fattispecie, rende l’obbligo sostenibile per l’industria assicurativa ma comparto (accusato di voler fare un gran bel business sulla questione) non è a suo agio. L’obbligatorietà delle polizze cat nat, più che per gli impatti finanziari che invece rischiano di essere negativi, tra le compagnie è valutata positivamente dal punto di vista culturale perché darà l’opportunità di valutare i rischi, prevedere correzioni e aggiustamenti, insomma, di lavorare sulla prevenzione. Solo che per questo ci vuole tempo. E metodo. Non un decreto travagliato, di cui si è detto e fatto di tutto.

Per avere un’idea, forse è utile un piccolo recap. Nell’estate 2023 ci sono le alluvioni in Emilia-Romagna e le grandinate in Lombardia e dicembre, nella legge di Bilancio si introduce per le imprese l’obbligo di assicurarsi contro le calamità, a partire dal 31 dicembre 2024. Poi si capisce che non si fa in tempo e si rinvia tutto al 2026. Poi torna a piovere (anche in E-R) e allora si ripristina il termine precedente di gennaio 2025. Ma poi con il Milleproroghe slitta tutto al 31 marzo. Adesso forse l’ennesimo rinvio. Fatto sta che di una norma di cui si parla da decenni, approvata a fine 2023, arrivati a 2025 inoltrati si è ancora costretti a navigare a vista.

Eppure il problema non sarebbe da trattare con leggerezza. Il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato e la nuova normalità catastrofica registra ogni anno, nel mondo, danni da catastrofi naturali superiori ai 300 miliardi, di cui solo 100 coperti da polizze. A causa dei cosiddetti “eventi secondari” (tempeste e grandine, mentre terremoti e inondazioni sono ‘primari’), della rapida urbanizzazione e del consumo del suolo, inflazione e aumento del valore degli asset la conta dei danni è in costante aumento. L’Italia, nel frattempo, è il Paese europeo più esposto a disastri naturali (310 miliardi in 10 anni), ma il meno ‘coperto, visto che solo il 6% delle case e il 5% delle aziende è assicurato. Si può continuare, come finora, a contare solo sul sostegno pubblico. Oppure si può promuovere una maggiore diffusione della protezione assicurativa. Ma non così. Perché, rinvio o non rinvio, comunque vada sarà un insuccesso. (Public Policy)

@m_pitta



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