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La Basilicata nelle mani di signorotti e madame


Diciamolo, i cerotti sulle ferite non sono più sufficienti. Le pezze a copertura delle perdite di futuro sono picconate alla speranza. Non è più tempo di palliativi, a lungo andare il crollo diventa inevitabile. La Basilicata è come un condominio in cui gli inquilini rischiano di perire sotto le macerie. Gli amministratori del palazzo, invece, traslocheranno prima del disastro, portandosi dietro le colpe della tragedia senza riconoscerle. Loro si salveranno. Ecco, questo futuro distopico è fondamentalmente irrealistico, a condizione però che emerga un’utopia preventiva. E cioè un progetto che, stimolato da un incubo, si trasformi in un sogno utopico, non utopistico.

Ora, l’incubo ci racconta di una Basilicata deserta, a cui non ci resta che augurare una buona vecchiaia. Ci racconta di risvegli notturni repentini che allontanano l’angoscia senza eleminarla. Grazie ai palliativi messi in campo dalla politica e dalla cosiddetta classe dirigente. Incentivi all’occupazione, incentivi alle imprese, fondi per l’agricoltura, fondi per il turismo, fondi per l’università e per la formazione, tirocini di inclusione, reddito minimo di inserimento, risorse per le sagre della patata e della polenta, bonus, eccetera eccetera. Fondi appunto, fondi del barile. E mentre si tira la carretta, si ammalano asini e muli affaticati dalle salite tortuose nella montagna delle contraddizioni di una terra che ha sempre più paura dell’alba. Avvinghiata alla notte che non vuole mollare. E’ la notte del presente, del qui ed ora, dei passi che non camminano e che tremano di fronte alle porte che nessuno vuole aprire. Le porte della realtà.

Si spende denaro, tanto denaro. In una logica mercantile del benessere. Come se lo sviluppo e la felicità si potessero comprare a suon di bigliettoni. E questa logica vale per pochi, per coloro che svuotano ogni giorno, saccheggiandola, questa terra. E dunque, quei “fondi di barile”, da qualche altra parte appaiono come tavole imbandite da appalti truccati, da prebende illegittime, da corruzione, da concorsi manipolati, da affidamenti diretti agli amici degli amici. E allora il buono e il cattivo si confondono, la verità e l’errore si mescolano, la realtà si perde nella nebbia delle dicotomie della sopravvivenza. E a tanti giovani non resta altro che la via di fuga, l’uscita di in-sicurezza.

Ora, se vogliamo un orizzonte che escluda il deserto, dobbiamo saltare dai palliativi alla cura radicale, passando dalla diagnosi impietosa: la Basilicata è gravemente ferita dal felicismo familistico ed egoistico dei potenti. La felicità privata come feticcio a fondamento della loro vita pubblica. Signorotti e madame immunizzati contro qualsiasi resistenza e ribellione. Nel perimetro di quel felicismo abitano incompetenza, corruzione, malaffare, politicanza, mafiosità, mediocrità, ingiustizia, e tutto quanto porta verso il deserto. E’ un sistema in cui la politica si mescola negli affari. Togliere l’immunità a questi signorotti, a questi don Rodrigo, azzeccagarbugli e sceriffi di Nottingham, è nostro dovere. E lo si fa partendo dalla sanzione sociale, la prima forma civile di ribellione. Sanzionare socialmente chi si rende responsabile di ingiustizie, di malaffare, di prepotenze e di mafiosità travestita da legalità. E’ la cultura della sanzione sociale che va incentivata in questa terra in cui un qualunque filibustiere può dirigere qualsiasi cosa. Dovrà pur finire il gioco d’azzardo sulla pelle dei lucani.



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