Dazi, il punto
(Elena Tebano) Quella di lunedì è stata ancora una giornata difficile per le borse di tutto il mondo, a causa della guerra commerciale innescata dal presidente americano Donald Trump, mentre l’Unione europea ha mosso i primi passi per costruire una risposta comune ai dazi imposti dal presidente repubblicano. Che ieri è tornato ad accusare l’Europa («L’Unione Europea è stata molto cattiva con noi»).
Le borse americane hanno perso ancora, nonostante la risalita avvenuta quando si è diffusa la notizia (poi smentita dalla Casa Bianca) di un supposto congelamento dei dazi. Nel giro di tre giorni, scrive Francesco Bertolino, le Borse mondiali hanno perso oltre 10 mila miliardi di dollari di capitalizzazione, travolte scosse dal maggior aumento delle tasse sulle importazioni negli Stati Uniti dal 1909, che dovrebbe iniziare a entrare in vigore da domani.
Sono numeri che iniziano a far paura alla finanza statunitense, scrive Massimo Gaggi: dopo tre giorni di tempesta sui mercati mondiali, ieri diversi esponenti dell’alta finanza statunitense hanno sottolineato pubblicamente i rischi dell’offensiva commerciale della Casa Bianca.
Il crollo delle borse ha investito anche le grandi aziende americane della tecnologia, i cui leader nei mesi scorsi erano andati in pellegrinaggio alla corte di Trump, nell’illusione che avrebbero avuto da lui quello che non avevano avuto dal suo predecessore Joe Biden (cioè lo stop ai tentativi di regolamentazione, in particolare quella antitrust).
In media, spiega Federico Fubini, il calo delle borse americane in seguito ai dazi ha fatto perdere al 62% degli americani che hanno fondi investiti in azioni a Wall Street, 47 mila dollari a testa.
Indifferente al panico del mercato azionario, Trump ieri ha minacciato ulteriori dazi sulla Cina, dopo che Pechino ha dichiarato che avrebbe reagito alle tasse americane sulle importazioni annunciate la scorsa settimana.
Il presidente degli Stati Uniti non ha mostrato finora segni di cedimento sulla sua politica protezionistica, nonostante la crescente pressione sui mercati finanziari. Alla domanda se avrebbe preso in considerazione una pausa per i dazi Trump ha risposto: «Non ci stiamo pensando» e ha ripetuto che accetterà negoziati solo «se riusciamo a raggiungere un accordo davvero equo e vantaggioso per gli Stati Uniti». La Casa Bianca ha anche dichiarato che Trump porrà il veto su un disegno di legge del Senato che imporrebbe l’approvazione del Congresso per i nuovi dazi, scommettendo che la maggior parte dei parlamentari repubblicani lo sosterrà.
L’apparente ostinazione autolesionista di Trump ha precise ragioni politiche. Riguardano il 38% degli americani che non hanno soldi investiti in azioni. Questi potenziali elettori, spiega Federico Fubini, Sono privi di attività finanziarie, semmai hanno solo debiti in banca o sulla carta di credito con cui hanno comprato la casa, la macchina, le cure del dentista, l’istruzione del figlio o hanno debiti con cui, semplicemente, sopravvivono. Quando i tassi della Federal Reserve erano ai loro massimi poco sopra al 5% l’anno scorso, questi americani pagavano spesso anche il 28% sulle loro carte di credito: interessi che in Europa varrebbero il carcere per il reato di usura. Questa America, l’ultimo 38% della società, è il cuore del movimento di Donald Trump. E sono elettori indifferenti alle cadute di borsa innescate dal «Liberation Day» con l’annuncio di tariffe «reciproche».
Intanto l’Europa si attrezza: ieri la Commissione Ue ha proposto i suoi primi contro-dazi del 25% su una serie di importazioni statunitensi in risposta a quelli di Trump su acciaio e alluminio. Ci saranno prodotti-icona come le Harley-Davidson e i jeans Levi’s, oltre agli yacht di lusso, al succo d’arancia e al burro d’arachidi. Ma l’elenco iniziale è stato ridotto e sono stati rimossi bourbon e latticini dopo che Trump ha minacciato una contro-contro-tariffa del 200% sulle bevande alcoliche dell’Ue.
In ogni caso i controdazi europei dovranno prima essere votati domani dagli Stati.
Intanto anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni prepara la sua risposta. Spiega Monica Guerzoni: Giorgia Meloni risponde con due vertici a Palazzo Chigi. Novanta minuti per delineare una strategia antidazi con la task force nominata di fresco, poi altri venti minuti con i due vicepremier per un punto più politico. «Dobbiamo lanciare messaggi positivi — è l’impostazione della premier —. Le borse crollano più per il panico che per i dazi».
Oggi a Palazzo Chigi si terrà il summit con le categorie produttive colpite dal balzo delle tariffe. La premier dovrà convincere le associazioni che il governo non lascerà sole le imprese. Un vero piano ancora non c’è, ma le prime mosse per offrire alle aziende «strumenti negoziali ed economici» di sostegno cominciano a delinearsi. Nessun decreto, per ora. Per venire incontro alle filiere potrebbe essere accolta la proposta di Adolfo Urso di prelevare 6,3 miliardi di risorse del Pnrr dal piano Industria 5.0. Il resto della strategia, per dirla con Tajani, è lavorare perché la Ue abbatta «tutte le barriere non tariffarie».
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