Senza desiderio non c’è innovazione • Secondo Welfare


L’innovazione che rinuncia al desiderio si trasforma in mera compliance o, peggio, in un ricatto imposto da chi detiene più potere. Questo è uno dei nodi centrali che emergono in “Spazio al desiderio”, saggio scritto a quattro mani con Flaviano Zandonai, che invita a ripensare le dinamiche di cambiamento a partire da un approccio radicalmente diverso: non più basato su vincoli e ottimizzazioni, ma sul riconoscimento del desiderio come forza trasformativa. Ecco perché, in breve.

Innovare non è solo gestire

Oggi, molte delle istanze di innovazione che emergono nei bandi e nelle politiche pubbliche si riducono a richieste di adeguamento formale, senza una reale spinta trasformativa. Il cambiamento, invece, ha bisogno di una buona dose di agonismo. Come ricorda Geoff Mulgan, il cambiamento avviene quando le cose smettono di funzionare come prima.

Eppure, nei modelli organizzativi e nelle strategie politiche ed economiche, il desiderio è sempre più marginalizzato:

  • Il lavoro viene trattato solo in termini di conciliazione e produttività;
  • i modelli organizzativi puntano esclusivamente all’ottimizzazione;
  • l’interesse pubblico viene declinato ancora come gestione e controllo;
  • il purpose aziendale, anziché liberare energie, tende ad assorbire e neutralizzare il desiderio individuale, trasformandosi in un sistema totalizzante.

Sono solo alcuni esempi di cambiamenti dichiarati ma che non hanno luogo. Anche a causa di approcci che strumentalizzano elementi e concetti che, invece, il cambiamento potrebbero realizzarlo.

Partecipazione e comunità: strumenti o alibi?

In questo senso, un nodo cruciale affrontato nel libro riguarda il concetto di comunità e il modo in cui viene usato – o strumentalizzato, appunto – nei processi decisionali.

Il community building, per esempio, è stato spesso colonizzato da un comunitarismo di facciata, da un volontarismo che maschera forme di sfruttamento o da un capitalismo che si legittima attraverso un ruolo “sociale” senza mai mettere davvero in discussione le proprie logiche estrattive.

In questo senso anche la coprogettazione, nata per innovare e potenziare la qualità dei servizi ed il protagonismo delle aspirazioni sociali, spesso cade nella trappola della “falsa innovazione sociale”: più che generare valore condiviso, estraggono risorse senza trasformare realmente i territori e le comunità. Questo approccio, anziché abilitare il desiderio e la partecipazione autentica, li soffoca dentro schemi predefiniti.

Desiderio e innovazione: cambiare le regole del gioco

È in questo contesto siamo chiamati a stimolare un’“innovazione di rottura”, un ripensamento radicale dei paradigmi di sviluppo economico e sociale. Il futuro non può essere intrappolato dalle paure del presente, ma deve essere costruito con organizzazioni capaci di adattarsi e crescere in modo trasformativo.

Per ripensare il rapporto tra desiderio e innovazione in “Spazio al desiderio” proponiamo due chiavi di lettura fondamentali. Da un lato una visione antropologica della persona non come mero attore razionale, ma come struttura di desiderio. Dall’altro, un paradigma relazionale in cui l’identità si costruisce nel rapporto con l’altro, non in modo individualistico o astratto.

Ma se questo è il punto di partenza allora il lavoro da fare è immenso e deve essere realizzato in molteplici ambiti in cui operano gli attori del secondo welfare per raggiungere finalità ben precise:

  • nelle politiche pubbliche, per uscire dalla logica della gestione e puntare sulla trasformazione;
  • nel mondo delle imprese, per riscoprire modelli di business che non siano solo ottimizzazione del profitto;
  • nel Terzo Settore, per evitare che la partecipazione diventi una retorica vuota;
  • nel volontariato, perché siano davvero luoghi di generazione di senso;
  • nella lotta alle disuguaglianze, perché senza desiderio non c’è possibilità di cambiamento radicale.

Oggi, tutti questi temi vengono affrontati in modo troppo tecnico, troppo strategico, troppo calcolato. Ma innovazione significa anche sconfinare, aprire spazi di possibilità, creare qualcosa che prima non esisteva. E questo accade solo nella prossimità di chi il cambiamento lo desidera davvero.

 

Foto di copertina: Generata da OpenAI su prompt di Secondo Welfare





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