Quando in borsa viene giù tutto, difficile fare distinzioni di sorta. Tra il trading automatico via algoritmi, le vendite dei fondi speculativi a leva che devono ricoprire i margini di garanzia e il panico diffuso tra i piccoli investitori, difficile trovare i cosiddetti porti sicuri. Nulla è sicuro in effetti ed è pia illusione pensare di trovare settori e aziende del tutto al riparo dalla tempesta. La globalizzazione e le molteplici interconnessioni dei mercati fanno sì che nei momenti di crollo, anche business relativamente protetti fanno fatica a resistere.
In ogni caso c’è sempre una vecchia ricetta che indica nei produttori di tabacco, nei colossi del pharma e in parte nelle utility i tipici settori difensivi. Titoli value che hanno una forza relativa migliore per affrontare le intemperie. Con l’avvertenza, però, che passata la bufera sono anche i titoli e i settori che resteranno al palo nelle fasi di rimbalzo anche violento.
Occasioni nel pharma
Per quanto riguarda il pharma, come indica uno studio di Goldman Sachs il paniere delle grandi aziende americane del settore ha resistito di più rispetto all’indice S&P500: da inizio anno, e fino a mercoledì scorso, la performance delle varie Eli Lilly, Pfizer, Merck, Bristol Myers Squibb e Johnson &Johnson registra un +9% rispetto alla caduta dell’indice principale di Wall Street. Magra consolazione, ma meglio di niente.
In effetti a tutelare maggiormente il valore dei titoli non ci sono solo gli aspetti strutturali tipici del settore che, vanno ricordati, sono i flussi di cassa relativamente stabili, i dividendi che non mancano mai e la forza patrimoniale e la new wave dei farmaci anti-obesità, nuova moda tutta americana a base di pillole di semaglutide e derivati che, proposti per i malati di diabete, sono diventati la nuova frontiera dei dimagranti. Si perde peso senza fatica, un miraggio per la popolazione tra le più incline al junk food. Miracolo che ha fatto la fortuna del primattore, Eli Lilly, che si spartisce il mercato sia negli Usa sia in Europa, con la danese Novo Nordisk. Non a caso negli ultimi due anni i ricavi di Eli Lilly sono esplosi da 28 a 45 miliardi di dollari, con gli utili netti più che raddoppiati da 5 a oltre 10 miliardi.
Al netto delle pillole miracolose, anche le altre big pharma non se la passano male. Merck fa utili netti pari al 26% dei suoi ricavi con stime del consenso al 2025 che indicano guadagni pari al 34% del fatturato. Pfizer – che ha goduto di profitti record per i vaccini Covid – ha fatto dietro-front: deve trovare nuovi farmaci per rimpiazzare l’Eldorado pandemico, non ripetibile. Le stime di consenso per il 2025 indicano utili comunque al raddoppio sul 2024. Certo, sono titoli che si pagano cari: Eli Lilly che sta volando sui ricavi e gli utili scambia a 31 volte i profitti del 2025.
L’altra Spada di Damocle, tipica del settore, sono le scadenze brevettuali dei farmaci di punta. Nei prossimi anni scadranno licenze pari a oltre 70 miliari di ricavi per le big. Ma tutte sono al lavoro per rimpiazzare i brevetti che scadranno con nuovi farmaci. Altro atout da non sottovalutare è la forza patrimoniale: tipicamente i pharma hanno ottimi rapporti tra debito, margini e capitale.
British American Tobacco (Bat) non crolla
Altro settore tipicamente difensivo è quello del tabacco. I grandi produttori sono impegnati nel passaggio dal tabacco classico al fumo elettronico. Riconversione obbligata che può essere in realtà un’opportunità di valorizzazione delle aziende. British American Tobacco (Bat) ha toccato i massimi annui a febbraio salendo del 50% in 12 mesi. Poi la correzione con la caduta da 34 a 30 pound di queste settimane. Un calo contenuto rispetto a quanto visto sui mercati. Bat sta vivendo una contrazione dei ricavi negli ultimi 2 anni, scesi da 27,6 miliardi di sterline a 25,8 miliardi. Ma ha tenuto sulla marginalità industriale con l’ebitda che si attesta al 45% dei ricavi. In corsa invece Philip Morris che ha visto i ricavi salire dai 31,7 miliardi di dollari del 2022 ai 37,8 miliardi del 2024 e con stime di consenso che vedono il fatturato poter arrivare a superare i 40 miliardi a fine di quest’anno. La marginalità netta viaggia intorno al 20% ormai da anni, mentre il titolo è sui massimi del decennio e da inizio anno ha messo a segno un +20%.
Anche l’altro gigante Altria è ai massimi degli ultimi 5 anni con un percorso senza grandi strappi né all’insù né all’ingiù, andamento tipico di questi titoli. Da inizio anno la rivalutazione è del 5%. Analoga resistenza mostra Imperial Tobacco che da gennaio ha ritoccato i corsi borsistici di circa +10%. Anche per i titoli del tabacco va segnalata, come per i pharma, una posizione finanziaria-patrimoniale di relativa solidità, con rapporti prezzi-utili rispetto a big pharma non particolarmente elevati.
Un classico: l’oro
È poi corsa all’oro fisico e cartaceo (tramite fondi), un classico delle fasi di caduta dei listini e di profonda incertezza sul futuro dettata da politica dei tassi Usa e prevedibili ripercussioni della vendetta cinese su Trump.
Gli investitori più smart hanno risalito la catena del valore e hanno riscoperto i produttori, società minerarie specializzate nell’estrazione dell’oro. Titoli in genere semi-sconosciuti che non brillano di solito per performance lusinghiere: un conto è l’oro da investimento, un conto sono i produttori che beneficiano del rialzo della materia prima ma spesso hanno costi operativi e alta intensità di capitale da non permettere di ottenere margini elevati e soprattutto soggetti a fluttuazioni del prezzo: niente flussi di cassa stabili nel tempo come per altri titoli difensivi, insomma. Al contrario, sono titoli ciclici. Fresnillo, società mineraria messicana con base legale a Londra, ha segnato una performance del 57% sui 12 mesi. La mineraria canadese Agnico è salita del 72% in un anno e ha toccato nei giorni scorsi i massimi storici. Anche Anglogold Ashanti ha ritoccato i massimi degli ultimi 5 anni. Newmont, azienda estrattiva americana, è salita anch’essa ma resta distante un 20% dal picco massimo. Sono ovviamente titoli per investitori evoluti. Troppe le complessità del business per finire nelle mani dei piccoli risparmiatori. Va ricordato che sono legate a doppio filo alle quotazioni del sottostante: oggi splendono, domani chissà. (riproduzione riservata)
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