Il Piano Transizione 5.0 «è architrave della nostra politica industriale, per consentire alle nostre imprese di innovarsi per vincere la sfida della duplice transizione digitale e green». Così il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso definiva, un anno fa, questa misura che a oggi non ha avuto il riscontro sperato.
Come registra il contatore GSE, all’11 aprile sono stati richiesti solo 690 milioni sui 6,3 miliardi stanziati.
Come mai questa misura non decolla? Cosa si pensa di fare per rilanciare il principale intervento di politica industriale messo in campo con i fondi del PNRR?
Faq Piano Transizione 5.0
Cos’è il Piano Transizione 5.0?
Piano Transizione 5.0 è un programma nato per sostenere gli investimenti in digitalizzazione e nella transizione green delle imprese attraverso un innovativo schema di crediti d’imposta.
È stato ufficializzato a febbraio 2024, dopo l’approvazione, in Consiglio dei Ministri, del decreto-legge PNRR, che ha introdotto il piano. Prevede 6,3 miliardi di risorse per le aziende che intendono effettuare investimenti in beni materiali e immateriali finalizzati a ridurre i consumi energetici.
Supporta investimenti “in nuovi beni strumentali necessari all’autoproduzione di energia da fonti rinnovabili”, ma anche la formazione del personale per le competenze necessarie per adottare tecnologie per la transizione digitale ed energetica dei processi produttivi.
In pratica, riconosce un credito d’imposta alle imprese che effettuano nuovi investimenti in strutture produttive situate in Italia, puntando su processi produttivi energeticamente efficienti, sostenibilie e basati sulle energie rinnovabili.
Come funziona e che investimenti supporta?
Piano Transizione 5.0 incentiva i progetti di innovazione avviati a partire da gennaio 2024 e completati entro il 31 dicembre 2025 e i relativi investimenti effettuati in beni materiali e immateriali in grado di apportare una riduzione dei consumi energetici di almeno il 3% delle strutture produttive localizzate nel territorio nazionale o, in alternativa, dei processi produttivi interessati dall’investimento (in questo caso la riduzione non deve essere inferiore al 5%).
Rientrano tra i beni sensibili alla misura i software, i sistemi, le piattaforme o le applicazioni per l’intelligenza degli impianti che garantiscono il monitoraggio continuo e la visualizzazione dei consumi energetici e dell’energia autoprodotta e auto consumata, o introducono meccanismi di efficienza energetica per la raccolta dati mediante sensoristica IoT. Della misura fanno parte anche i software per la gestione di impresa.
Inoltre, prevede contributi anche per i beni strumentali finalizzati alla produzione energetica da fonti rinnovabili (eccetto le biomasse), comprese anche soluzioni di accumulo.
Tra le spese ammesse vengono comprese quelle per la formazione del personale nell’ambito di competenze utili alla transizione dei processi produttivi.
Da top a flop: i passaggi a vuoto e le migliorie in corso d’opera
Sono diversi gli elementi che hanno contribuito, finora, al mancato decollo del Piano Transizione 5.0. Innanzitutto i tempi di entrata a regime: sebbene sia stato approvato a febbraio 2024, si è dovuto attendere fino ad agosto dello stesso anno per il decreto attuativo.
Partito con le migliori intenzioni e con un investimento consistente, ha registrato finora una scarsa capacità attrattiva, a causa principalmente della burocrazia e della poca chiarezza, che le diverse FAQ non hanno aiutato a migliorare.
L’Osservatorio Recovery Plan riportava che nei primi tre mesi dal suo avvio erano stati prenotati crediti d’imposta per appena 99 milioni, l’1,6% dei 6,23 miliardi di euro. Con l’intento di apportare migliorie, ad aprile 2024 si è cominciato a evidenziare la volontà di rimodulare il Piano, come confermato dal ministro per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di coesione e per il Pnrr, Tommaso Foti, che ha fatto sapere che il Governo “sta lavorando a una parziale revisione del piano Transizione 5.0”.
A dicembre 2024 è giunta la comunicazione ufficiale del ministro Urso che annunciava attraverso il sito istituzionale del MIMIT modifiche sostanziali, approvate dalla Commissione Europea. Esse riguardano la semplificazione delle procedure di calcolo dei consumi energetici; la possibilità di cumulo con altri incentivi nazionali ed europei; l’inclusione una maggiorazione per i pannelli fotovoltaici realizzati in Europa e la definizione di un’aliquota unica per investimenti fino a 10 milioni. Un forte impulso al sostegno degli investimenti delle imprese sull’innovazione green.
Gli ultimi provvedimenti
La Legge di Bilancio 2025 ha introdotto ulteriori significative modifiche alla disciplina del Piano Transizione 5.0, ha fatto sapere il GSE, ampliando l’ambito di applicazione e semplificando le procedure di accesso al beneficio. In particolare, vengono rimodulati gli scaglioni di investimento, con l’unificazione delle prime due fasce in un unico scaglione fino a 10 milioni di euro, al quale si applicano le aliquote del 35%, 40% e 45%, in funzione della percentuale di riduzione dei consumi energetici conseguita. Inoltre, viene ridefinito lo schema delle maggiorazioni per gli impianti fotovoltaici, con l’introduzione di una maggiorazione del 30% per i pannelli con moduli fotovoltaici prodotti in UE con un’efficienza a livello di modulo almeno pari al 21,5%; e l’incremento al 40% e al 50% per i pannelli con moduli made in UE con un’efficienza di almeno il 23,5%.
Ultimo intervento, in ordine di tempo, sono le FAQ pubblicate lo scorso 10 aprile, finalizzate a fornire chiarimenti in merito agli aspetti normativi e contribuire a rilanciare una misura che, finora, non ha dato i frutti sperati, a partire proprio dai fondi richiesti, che a oggi sono meno del 10% rispetto al totale.
«Stiamo parlando di 690 milioni su 6,3 miliardi di fondi prenotati: quelli effettivamente allocati e posti nel cassetto fiscale assommano solo a qualche decina di milioni di euro», affermano Francesco Colli e Luca Melioli, titolari dello studio d’ingegneria e formazione IngFor, specialisti dei temi riguardanti Industria 4.0 e 5.0.
La manovra prevede, infatti, la prenotazione del credito d’imposta durante la fase ex ante «che però corrisponde, nella migliore delle ipotesi, a metà dell’iter di progetto, teoricamente potrebbe essere fatta ancora prima dell’ordine. Quindi stiamo parlando di una fase temporale molto anticipata. Inoltre, il credito prenotato potrebbe variare rispetto al definitivo, riducendosi ulteriormente», spiegano i due consulenti.
Punti critici del Piano Transizione 5.0
Quali sono i punti critici che non hanno permesso finora al Piano Transizione 5.0 di ottenere il successo sperato?
«Ci sono almeno due fattori da considerare: il primo è la mancanza di maturità, dal punto di vista aziendale, per un provvedimento che offre molti aspetti interessanti e innovativi». Rispetto a 4.0, che già aveva avuto un esempio analogo di riferimento con la Germania, nel caso di Transizione 5.0 rappresenta il primo piano in Europa con incentivi per le due transizioni, green e digitale, insieme alla formazione dei lavoratori. Tra le varie opportunità offerte è che, al momento, è cumulabile con tutte le agevolazioni, comprese quelle finanziate con fondi europei, per esempio con ZES e incentivi regionali finanziati con le risorse del FESR, specificano i due esperti IngFor.
«Anche Transizione 4.0 ha richiesto circa un anno prima che le aziende cogliessero appieno la filosofia e i benefici per cui era stato pensato. Lo stesso accade con la nuova misura, più complessa e che pone elementi di novità. Inoltre, non ha funzionato l’incertezza normativa e gli eccessivi vincoli», evidenzia Luca Melioli. Un esempio, a questo proposito, è dato dallo scenario controfattuale, utile per le nuove imprese che non possono confrontarsi, non avendo uno scenario reale di riferimento. In questo caso, l’impresa deve individuare almeno tre beni alternativi disponibili sul mercato da almeno cinque anni. La media dei consumi energetici annuali dei tre beni costituirà lo scenario controfattuale, con cui calcolare il risparmio garantito dall’investimento reale.
«Nessuno mette a disposizione dati simili. Anzi, si è prodotto l’effetto opposto: molte aziende hanno tolto da internet i propri datasheet perché non avevano intenzione di renderli confrontabili con un bene che poteva essere altro e rischiare di essere scartati dallo stesso Piano – fa sapere Francesco Colli –. Proprio per ovviare a questo problema, si è provato ad allargare le maglie interpretative attraverso le FAQ, che sono giunte all’ennesima versione al 10 aprile. Anche le stesse raccolte di domande e risposte, aggiornate, non hanno contribuito a rendere più agevole l’accesso alla misura. Alcune FAQ sono state cancellate, altre contraddette o modificate, rischiando di provocare maggiore confusione, quando invece c’era bisogno di una norma più chiara con meno vincoli e tempi più lunghi».
I correttivi
Che cosa si sta facendo dal punto di vista dei correttivi? «Nelle FAQ si è cercato di agevolare maggiormente i beni già ammortizzati da 24 mesi, per cui non è necessario un computo preciso. Occorre attestare che i nuovi beni siano aderenti a una serie di norme che attestino l’effettivo upgrade tecnologico, senza dover fare un confronto numerico col precedente. Un altro vincolo su cui urgono correttivi è rappresentato dalla necessità di effettuare un processo per singolo impianto per volta. Questo è estremamente limitante, perché molto spesso i processi coinvolti sono più di uno e ne derivano tempi prolungati per esaminare i vari processi, con il rischio di allungare ulteriormente i tempi, quando invece si ha un margine di tempo assai ridotto. Anche in questo caso si ragiona sull’opportunità di sbloccare tale vincolo e contare di agire su più processi per volta».
Il correttivo più importante riguarda la proroga dei tempi rispetto alla scadenza oggi vigente, ossia il 31 dicembre 2025. «La possibilità di una proroga c’è, se ne sta parlando con la Commissione Europea, ma c’è un nodo rappresentato da un problema di cassa a livello nazionale. In altre parole, l’Italia dovrebbe anticipare i 6,3 miliardi con flussi di cassa propri; ma c’è un previsionale di cassa che non aiuta».
Le prospettive del Piano Transizione 5.0
Il punto cruciale rimane, quindi il fattore tempo. Secondo i due esperti, se vi fosse una proroga a tutto il 2026, contando quindi su un anno in più, il Piano Transizione 5.0 avrebbe concrete speranze di successo.
«Proprio considerando la curva in netta progressione negli ultimi tempi delle richieste di prenotazione, fanno ben sperare. È probabile che molte aziende che avevano i requisiti potenziali, non erano pronte dal punto di vista dei dati. Così hanno ritardato la richiesta di prenotazione del beneficio finché non hanno preparato tutto il necessario per accedere alla misura».
È bene mettere in luce gli elementi positivi del Piano Transizione 5.0. «Un pregio è dato dal fatto che oggi comincia a concretizzarsi il concetto di efficientamento energetico. Inoltre, Transizione 5.0 ha fornito una spinta importante, attraverso i beni trainati, all’autoproduzione energetica, contribuendo allo sviluppo della generazione distribuita, fondamentale non solo per le aziende, ma per tutto il Paese».
Un ulteriore effetto positivo è dato dal fatto che le aziende, dovendo perseguire un risultato in termini di riduzione dei consumi, hanno cominciato ad ampliare lo sguardo dalla pura produzione a tutto ciò che concorre ad essa. In altre parole, sta cominciando a delinearsi il tema della sostenibilità, anche attraverso l’impegno al rispetto del principio DNSH (Do No Significant Harm), condizione imprescindibile per l’accesso al contributo nella fase di richiesta di prenotazione (fase ex ante) ed è oggetto di verifica puntuale nella fase successiva alla realizzazione degli investimenti (fase ex post).
«L’obbligo di fare valutazioni di tipo energetico mediante il monitoraggio, grazie all’impiego dei dati, crea una consapevolezza nell’impiego, oltre che nella produzione dell’energia. È un processo importante, che ha bisogno di tempo. Ecco perché si rende necessaria una proroga, fondamentale per conseguire i risultati per cui è nato il Piano Transizione 5.0: sostenere la transizione energetica dei processi produttivi verso un modello di produzione efficiente, sostenibile e basato sulle fonti rinnovabili», concludono Colli e Melioli.
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