Golden power: la discutibile arma di Meloni e Giorgetti per orientare la battaglia bancaria


Le notifiche di operazioni soggette al Golden Power arrivate al Governo erano state solo otto nel 2014, sono poi diventate 18 nel 2015, 30 nel 2017, 46 nel 2018, 83 nel 2019, 342 nel 2020, 496 nel 2021. Un crescendo esponenziale che è proseguito anche negli ultimi anni, se si pensa che nel 2024 hanno superato soglia 660, un divario abissale rispetto a soli dieci anni prima. Sintomo che sono cresciuti gli interessi privati e pubblici stranieri ad acquisire imprese strategiche italiane, ma soprattutto che è cresciuta l’attenzione del Governo a non farsi sfilare asset che hanno o potrebbero avere un valore sociale, economico e industriale sul piano nazionale. L’ultimo decennio è stato caratterizzato dalla vorace presenza sui mercati globali delle aziende cinesi, sostenute direttamente dallo Stato, inducendo – forse tardivamente – le autorità regolatorie e governative occidentali ad alzare paletti e vincoli sulle acquisizioni delle proprie aziende. Un allarme ingigantito peraltro dalla pandemia Covid che, distruggendo le catene di fornitura internazionali e portando a numerosi fallimenti aziendali a causa dei lockdown, ha confermato la necessità di dare un quadro più stringente e più monitorato alle cessioni di asset. E’ in questo contesto che è entrata in vigore, nel 2022, la riforma del Golden Power, ovvero di quello strumento normativo che consente agli Stati sovrani di bloccare operazioni finanziarie o, altrimenti, di obbligarle al rispetto di determinate condizioni.

In questa cornice si inserisce anche la discussa, e forse discutibile, decisione del Governo Meloni di adottare il Golden Power sull’offerta pubblica di scambio volontaria lanciata da Unicredit sul Banco Bpm. Venerdì il Consiglio dei ministri ha deliberato di esercitare, “a tutela di interessi strategici per la sicurezza nazionale”, i poteri speciali nella forma dell’imposizione di specifiche prescrizioni, in relazione all’offerta pubblica di scambio volontaria su tutte le azioni ordinarie di Banco BPM S.p.a. da parte di UniCredit S.p.a. 

Una mossa che solleva dubbi enormi nella politica, nei giuristi e persino all’interno del Governo. In particolare i paletti imposti dall’esecutivo riguarderebbero l’obbligo per Piazza Gae Aulenti di non ridurre il rapporto tra impieghi e depositi e il sostegno a famiglie e imprese, oltre ad altre prescrizioni. Tra cui risalta tuttavia la richiesta di cessare ogni attività in Russia, dove Unicredit rappresentava prima dell’invasione dell’Ucraina il maggior istituto estero nel Paese. E’ vero che la banca da quando è iniziata la guerra, con le relative sanzioni a Mosca, ha già ridotto di molto le attività ma non è completamente uscita facendo anche ricorso alla Corte di Giustizia contro le sollecitazioni della Bce. L’uscita non è agevole, va fatta con un percorso graduale e oculato se non si vogliono iscrivere ingenti perdite nei conti di Unicredit. Né tantomeno è agevolata dal Cremlino, che considera la banca italiana un canale vitale per i finanziamenti esteri.

Inizialmente il Governo pensava di far coincidere la scadenza per l’uscita dalla Russia con la scadenza dell’ops volontaria, quindi il 23 giugno. Data impraticabile per la banca milanese, che comunque a fronte di tutte queste prescrizioni dovrà valutare se andare avanti con l’operazione su Banco Bpm o fermarsi. Anche perché l’acquisizione di Anima da parte dell’istituto guidato da Giuseppe Castagna senza ricorrere al Danish Compromise che avrebbe permesso di abbattere i costi patrimoniali da iscrivere al bilancio, ha già indotto una riflessione a Piazza Gae Aulenti. Unicredit ha fatto sapere in una nota che “l’offerta è approvata” dal Governo Meloni “con prescrizioni il cui merito non è chiaro” e dunque “UniCredit si prenderà il tempo necessario per valutare la fattibilità e l’impatto delle prescrizioni sulla società, sui suoi azionisti e sull’operazione di M&A, relazionandosi, se del caso, con le autorità competenti”.

La questione russa è la più contorta. Il Governo, alla fine, ha deciso di dare nove mesi di tempo a Unicredit per chiudere definitivamente con il mercato russo. Grazie soprattutto alla forte contrarietà interna all’esecutivo da parte di Forza Italia: “Mi sono preoccupato di far cambiare soprattutto la quarta prescrizione che imponeva a Unicredit di abbandonare immediatamente la Russia, le 200 aziende italiane che operano in Russia regolarmente, nel rispetto delle sanzioni, avrebbero rischiato di non aver più un flusso finanziario”, ha detto il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani in una intervista a La Stampa. Il ministro ha sottolineato poi che “come Farnesina siamo nel gruppo di lavoro che prepara il Golden power, e i nostri tecnici hanno sempre detto che sarebbe stato sbagliato questo approccio. C’è stata una relazione molto preoccupata dell’ambasciatore su cosa sarebbe potuto accadere alle imprese. Dare nove mesi di tempo a Unicredit dopo l’Ops per cessare le proprie attività in Russia è una misura giusta”.

Ma il vicepremier non nasconde di avere dei “dubbi sulle basi giuridiche del Golden power” per quanto riguarda l’operazione di Unicredit su Banco Bpm. In particolare “non mi sembra così chiaro il tema della sicurezza nazionale”. Per il resto “io sono sempre per lasciare certe questioni al libero mercato, il Golden power si può mettere ma non sulle vicende interne”.

Insomma, i dubbi delle opposizioni e dei giuristi intacca anche la compattezza dell’esecutivo: intervenire a gamba tesa nel risiko bancario, in una operazione che palesemente la Lega di Matteo Salvini osteggia, a difesa del suo bacino elettorale e della sua influenza regionale, è tutela degli interessi nazionali o un’ingerenza nelle normali dinamiche del libero mercato? E poi: se Unicredit è una banca italiana che ha lanciato un’offerta totalitaria su un’altra banca italiana, quale sarebbe la potenziale minaccia di grave pregiudizio agli interessi della nazione?

I poteri del golden power sono stati riformati più volte negli ultimi anni, in particolare nel 2020 con il decreto Liquidità che ne ha esteso gli ambiti e ha introdotto la possibilità per il Governo di procedere d’ufficio; e poi durante il Governo Draghi. Proprio per questo recentemente i tecnici del Senato hanno sollevato la necessità di una riforma complessiva a causa della frammentarietà degli interventi che si sono susseguiti. Ad agosto 2022 un dpcm firmato dall’allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli ha regolamentato nuovamente il perimetro dei poteri speciali e rafforzato ulteriormente le misure a difesa dei settori strategici. Le novità introdotte hanno reso più spedite le istruttorie, ma hanno anche aumentato la certezza a beneficio delle imprese. In questo senso è stata introdotta una nuova procedura, di cosiddetta “prenotifica”, che consente alle imprese di ottenere nell’arco di un mese informazioni sull’assoggettabilità o meno alla disciplina del golden power: un filtro che dovrebbe arginare il fenomeno delle imprese che, per non incorrere nelle sanzioni, notificano operazioni che poi magari nemmeno rientrano nel perimetro della disciplina.

L’intento è di governare la difficile disciplina delle operazioni finanziarie in settori strategici. Se prima il Golden power veniva maggiormente utilizzato nei settori tradizionali come difesa, energia, trasporti e telecomunicazioni, gli ultimi anni hanno reso necessario una progressiva estensione – il cosiddetto golden power rafforzato – a settori che prima non erano intesi come strategici, come il 5G, la sanità, l’agroalimentare, la farmaceutica, e i settori finanziario, creditizio e assicurativo. 

I nove mesi di tempo scadono a metà gennaio 2026 e rappresentano il punto di compromesso ottenuto dalla premier Giorgia Meloni tra le due posizioni opposte, di Forza Italia e Lega: la prima, favorevole alle operazioni di mercato senza intervento governativo, la seconda in difesa dei lavoratori e del giro economico che gravita intorno alla banca guidata da Castagna, con una ramificata presenza in Lombardia e Veneto, serbatoio di voti dei leghisti. Ma dopo la decisione del Governo i legali di Piazza Gae Aulenti sono già al lavoro: le insidie giuridiche sono tutte sul tavolo.



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