Nelle ultime settimane, i prezzi di petrolio e gas sono scesi in modo significativo, raggiungendo i livelli più bassi da mesi, in alcuni casi da oltre un anno. Una buona notizia? Non proprio. Questo calo, infatti, non è il risultato di scoperte tecnologiche, aumento della produzione o nuovi giacimenti: è la conseguenza diretta di una paura crescente tra analisti e investitori, ovvero che l’economia globale stia rallentando bruscamente.
A innescare questa dinamica sono stati gli annunci, e poi i controannunci, di Donald Trump sui nuovi dazi doganali. Misure protezionistiche che, se messe in pratica, ostacolerebbero il commercio internazionale, frenerebbero gli investimenti e ridurrebbero la produzione industriale. In altre parole: meno scambi, meno crescita, meno energia necessaria. Petrolio e gas, però, non sono solo beni materiali, ma anche termometri dell’economia: quando la domanda cala, i loro prezzi scendono. Ed è proprio quello che sta succedendo. Il mercato prevede un rallentamento economico e si comporta di conseguenza.
Il 2 aprile, giorno dell’annuncio dei dazi, il petrolio WTI (riferimento statunitense) era quotato a 71,7 dollari al barile. Solo pochi giorni dopo, era già sceso sotto i 60 dollari: un crollo del 17% in meno di una settimana. Anche il Brent, il riferimento europeo, ha seguito la stessa tendenza, passando da 75 a circa 68 dollari. Lo stesso vale per il gas, che oggi costa 33 euro al megawattora: è il prezzo più basso da un anno e il 43% in meno rispetto ai picchi di inizio febbraio.
In Italia, questo calo si è già fatto sentire alla pompa. Secondo i dati del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, nella settimana tra il 7 e il 13 aprile, la benzina verde è scesa a 1,74 euro al litro e il gasolio a 1,63. Prezzi che non si vedevano da ottobre. Anche le bollette potrebbero alleggerirsi leggermente, sebbene le famiglie spenderanno comunque, secondo Nomisma Energia, il 7 per cento in più rispetto al 2024 per elettricità e gas.
Ma attenzione: questi piccoli risparmi non compensano il problema di fondo. Il calo dei prezzi dell’energia non riflette un sistema che funziona meglio, bensì un’economia che si sta spegnendo. Se un’azienda di ceramica italiana esporta meno negli Stati Uniti a causa dei dazi, produrrà meno e avrà bisogno di meno energia. Se una compagnia di spedizioni rinuncia a nuovi viaggi, risparmierà carburante. E se un’impresa decide di rimandare l’apertura di un nuovo stabilimento, ridurrà consumi e investimenti. È un effetto a catena. E mentre le famiglie risparmiano qualche euro su benzina e bollette, le aziende rimandano piani, licenziano personale, sospendono progetti. In altre parole, un calo dei prezzi dell’energia legato a un calo della domanda globale è il segnale di una possibile recessione.
Anche oggi, seppure in misura minore, si sta assistendo a uno scenario simile. Non si tratta di un crollo improvviso dovuto a un blocco globale, ma di un lento e preoccupante raffreddamento dell’economia. I prezzi dell’energia oscillano fisiologicamente, ma quando le variazioni sono così ampie e improvvise creano incertezza. E l’incertezza, in economia, non è positiva. Le aziende faticano a pianificare, gli investimenti si congelano, le assunzioni rallentano.
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