L’Italia rischia di fallire nella transizione energetica. Gli ostacoli per raggiungere gli obiettivi green sono tanti, secondo “Meet the Future of Energy” di Bain & Company. Tutte le minacce
Di questo passo la transizione energetica dell’Italia rischia di naufragare. Le tecnologie green emergenti faticano ad affermarsi. È quanto emerge dal rapporto di Bain & Company nel suo ultimo rapporto “Meet the Future of Energy”, che sottolinea i diversi ostacoli al percorso verso la sostenibilità. Ecco tutte le minacce.
LA TRANSIZIONE E’ IN PERICOLO?
La transizione energetica italiana naviga in cattive acque. La fragilità del sistema nazionale ed europeo frenano la diffusione delle nuove tecnologie green e la competitività rispetto ai Big mondiali. Caro energia, burocrazia e incertezza dei ritorni sono gli ostacoli maggiori sul cammino verso la sostenibilità. Il prezzo dell’energia in Italia è superiore in media del 40% rispetto agli altri grandi mercati dell’Ue: Germania, Francia e Spagna. “Un gap che grava sulle famiglie, ma che impatta in modo ancor più diretto sulla tenuta del tessuto industriale. Il divario tariffario si riflette sulla marginalità delle imprese e sulla loro capacità di attrarre investimenti, soprattutto nei settori ad alta intensità energetica”, sottolinea La Repubblica Affari & Finanza.
Le cattive notizie non finiscono qui. Infatti, gli eventi estremi come alluvioni, incendi e uragani si moltiplicano, colpendo oltre il 30% del pianeta. Dal 2000, i danni causati da disastri naturali hanno superato i 7.500 miliardi di dollari, con un impatto medio annuo superiore ai 380 miliardi, 15 miliardi solo in Italia, secondo il report.
INCERTEZZA NORMATIVA E AUTORIZZATIVA OSTACOLANO LE TECNOLOGIE GREEN
L’incertezza regna sovrana nel sistema normativo ed autorizzativo, scoraggiando gli operatori dall’intraprendere progetti innovativi. Come se non bastasse, gli operatori che decidono di investire in tecnologie green all’avanguardia nonostante le difficoltà si trovano ad affrontare, spesso invano, anche un iter autorizzativo lungo e tortuoso. Infatti, solo il 30/40% dei progetti riesce a superare le Forche Caudine della burocrazia, contro il 90% delle rinnovabili tradizionali.
“Questo squilibrio rischia di cristallizzare il mercato attuale, concentrando i capitali sulle tecnologie mature e trascurando quelle più strategiche per il futuro”, ha detto Roberto Prioreschi, Semea regional managing partner di Bain & Company in un’intervista rilasciata a La Repubblica Affari & Finanza.
TRANSIZIONE, QUALE RIFORMA PER IL SISTEMA ELETTRICO
Il rapporto propone una riforma strutturale del sistema elettrico che porterebbe oltre 20 miliardi di euro all’anno. Sono tre i punti principali di questa svolta: garantire ritorni stabili e in linea con quelli infrastrutturali per gli operatori che producono elettricità, ottimizzare le reti di trasporto con una pianificazione centralizzata degli investimenti; assicurare remunerazioni adeguate a tecnologie chiave come idroelettrico, impianti di pompaggio e gas. La revisione del market design è un tassello cruciale della riforma, Alessandro Cadei, responsabile energy & utilities per l’area Emea di Bain & Company. “Il market design stabilisce i rischi e i ritorni di un investimento. Se non è aggiornato alle dinamiche delle nuove tecnologie, il sistema comporterà maggiori rischi per gli operatori e quindi una maggiore richiesta di remunerazione”, ha detto Cadei.
“Solo un market design al passo coi tempi può sostenere un mix bilanciato di fonti rinnovabili e gas. Ma è anche necessario prepararsi al ritorno del nucleare, che richiede regole certe e una remunerazione regolata per attrarre capitali (…) Il Pniec dovrebbe evolversi in un Pnieci’, che includa in modo esplicito il contributo dell’industria, oggi spesso trascurata nelle strategie energetiche”, ha aggiunto Prioreschi.
I MANAGER PERDONO LA SPERANZA
Se la riforma avesse successo genererebbe un tesoretto che potrebbe essere utilizzato per acquistare e realizzare le tecnologie protagoniste della transizione, ma anche per dare respiro a famiglie ed imprese, secondo Bain & Company. Tuttavia, i manager del settore non sono affatto ottimisti. Infatti, il 44% degli oltre 700 executive manager intervistati ritiene che il mondo non raggiungerà il “net zero” prima del 2070, solo un terzo è convinto della possibilità di centrare l’obiettivo entro il 2050. Il mondo dell’oil & gas prevede che il picco del petrolio arriverà nel 2038.
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